martedì 31 dicembre 2013

il dominio delle multinazionali del farmaco e l'antropocentrismo capitalista















SULL'ANTROPOCENTRISMO DOGMATICO DI CERTI CRITICI DELL'"ANIMALISMO"

Annamaria Rivera

Come premessa, occorre dire che il caso di “Caterina e la vivisezione” appare come uno scandalo montato ad arte. Si potrebbe sospettare sia una sorta di ritorsione per la vittoria ottenuta con la chiusura di Green Hill, dopo anni di lotte, repressione e manifestazioni, anche di massa. Ricordiamo che a metà luglio il mostruoso allevamento di cani beagle, destinati a esperimenti di ogni genere in tutta Europa, con sede a Montichiari e di proprietà della multinazionale statunitense Marshall Farms Inc., è stato sequestrato e chiuso per decisione della magistratura, che ha incriminato i vertici dell’azienda.
Anche per influenza, come sembra, d’interessi assai corposi, il caso della studentessa gravemente malata, insultata in rete dagli immancabili mentecatti per aver difeso la sperimentazione su animali, è stato artificiosamente gonfiato dai media di ogni tendenza, che ne hanno stravolto il senso e le proporzioni reali, riducendolo a gossip da vacanze di Natale. Nel corso di questa blaterazione scandalistica, che parte da un presupposto indimostrabile – gli autori degli insulti virtuali sarebbero rappresentativi dell’”animalismo” – si sono perse densità e profondità dei dilemmi e della stessa elaborazione teorica dell’antispecismo. La quale ha antecedenti assai illustri: fra tutti basta citare la Scuola di Francoforte.
Pochi sono stati finora i commenti, da parte non antispecista, che si siano misurati con la complessità della questione. Si sa, è tipicamente italiano prendere la parola pubblicamente su qualsiasi tema – e su questo più che su altri – pur non avendone alcuna competenza.
Come prototipo del genere di articoli che si pretendono colti ed equidistanti, ma che scontano una conoscenza approssimativa del dibattito antispecista in partricolare, assumiamo quello del teologo Vito Mancuso: Sull’”antinaturalismo” degli animalisti, apparso il 29 dicembre scorso su La Repubblica e ripreso nella prima pagina di MicroMega online.
Per cominciare: Mancuso dà per scontato che a insultare Caterina Simonsen siano stati “gli animalisti”, mentre la sola cosa certa è che appartengono alla vasta categoria d’ imbecilli che, grazie alla volgarità dilagante e alla caduta dei freni inibitori indotta dalla rete, vomitano insulti contro chicchessia.
Il teologo si rivela alquanto ignaro degli orientamenti, teorie, dibattiti che attraversano il mondo, assai eterogeneo, degli interessati alla sorte dei non umani. Così che, non distinguendo tra zoofili, animalisti, antispecisti, infila tutti nel medesimo calderone. Dà per scontato, per esempio, che ad accomunare gli “animalisti” sia il fatto di “volere per gli animali gli stessi diritti dell’uomo”. E invece vi è una corrente antispecista, perlopiù d’ispirazione anticapitalista, marxista e/o libertaria, che rifiuta di parlare di diritti animali e pone l’accento sui processi di liberazione, riguardanti umani e non umani.
Inoltre, Mancuso attribuisce abusivamente agli “animalisti”, quale tema etico fondamentale che li caratterizzerebbe, la questione violenza/nonviolenza: dilemma serio, ma che, almeno in questo articolo, è trattato in modo discutibile, proiettando sugli altri –gli “animalisti” – una questione che è sì centrale, ma anzitutto nel suo pensiero. Di conseguenza, egli assimila, quali vittime della violenza umana, patate, cipolle, batteri, topi e primati (gli ultimi due non nominati esplicitamente, ma la sperimentazione animale, si sa, ha loro tra le vittime principali).
In realtà, se egli si fosse confrontato con qualche buon saggio, non necessariamente antispecista in senso stretto – per esempio, con L’animale che dunque sono di Jacques Derrida –, saprebbe quali siano le domande principali: gli altri animali sono capaci di gioire, soffrire, comprendere? Non sono forse essi delle singolarità irriducibili?
Altrettanto convenzionale è la concezione mancusiana dei non umani. Non per caso, tra tutti i filosofi che, almeno a partire da Montaigne, si sono posti la questione, egli cita proprio e solo Kant: ovvero colui del quale Theodor W. Adorno ha criticato l’odio e l’avversione per gli animali, e la morale priva di compassione o commiserazione.
Tra i tanti passaggi di questo articolo improntati al senso comune, la frase “A parte quella umana, nessuna specie cesserà mai di seguire l’istinto sotto cui è nata” lo è particolarmente. Da lungo tempo studiosi in vari campi, compresi gli etologi, hanno messo in discussione la nozione di istinto, ammettendo che numerose specie animali possiedano intelligenza, sensibilità, intenzionalità, singolarità, capacità di simbolizzazione e di empatia, nonché cultura: intendendo come elemento minimo basilare di quest’ultima l’attitudine a elaborare soluzioni differenziate per risolvere uno stesso problema nel medesimo ambiente.
Inoltre, l’affermazione di Mancuso “L’uomo al contrario [degli altri animali] ha imparato a poco a poco a estendere gli ideali di giustizia a tutti gli esseri umani, compresi quelli dalla pelle diversa” è contraddittoria oppure è il frutto di un lapsus grave. Egli, infatti, colloca questa frase dopo un passaggio nel quale scrive: “nessuna specie animale estenderà mai alle altre specie i diritti di supremazia che la natura lungo la sequenza della selezione naturale le ha concesso”. Forse che gli esseri umani “dalla pelle diversa” (diversa da chi?) appartengono a una famiglia altra da quella di Homo Sapiens? En passant, aggiungiamo che il teologo sembra ignorare che certi primati – si pensi   ai bonobo studiati da Frans de Waal – conoscono sentimenti e comportamenti quali altruismo, compassione, empatia, gentilezza, pazienza, sensibilità, perfino moralità, estesi anche al di là della loro specie.
In sostanza, Mancuso ripropone come universale la vecchia dicotomia natura/cultura, tipicamente occidentalocentrica, sconosciuta a tanta parte dell’umanità, che ha elaborato, invece, ontologie e cosmologie fondate sul paradigma della continuità. Questa dicotomia è stata abitualmente articolata in funzione di una serie di antitesi complementari quali innato/acquisito, eredità/ambiente, istinto/intelligenza, spontaneo/artificiale: opposizioni arbitrarie, che discendono da un’ideologia legata a una forma peculiare di razionalità – quella strumentale – che raramente si è interrogata o ha messo in questione il proprio arbitrio o la propria parzialità.
E’ proprio la razionalità strumentale – figlia del cogito cartesiano, a sua volta erede della “filiazione giudaico-cristiana, dunque sacrificalista” – che ha oggi come esito un livello tale di assoggettamento e mercificazione dei non umani che, per citare ancora Derrida,  “qualcuno potrebbe paragonarli ai peggiori genocidi”.
(il manifesto)

ANIMALISTI FANATICI E VIOLENTI - ANALISI TESTUALE DELL'ARTICOLO DI SERRA

Mario Bonica

Già dall'incipit tutto è chiaro. Dichiarazione di principio visibilmente schematica e preconcetta: Caterina è stata massacrata dai “sedicenti” animalisti, secondo quanto “pubblicizzato” a suon di fanfare su tutti i media. Sposto le virgolette dal termine animalisti a quello di sedicenti non a caso: Serra premette l’attributo sedicenti alla fatidica parola animalisti virgolettata, quasi a sottolineare la motivazione della sua solidarietà immediata a santa Caterina martire della cattiveria e della violenza dei sedicenti animalisti, che, come scopriremo con chiarezza qualche rigo dopo, sono tutti fanatici e violenti, fatta eccezione di quei pochi animalisti non estremisti… che sarebbero ovviamente quelli che amano i cani e i gatti, mangiano i maiali e indossano le mucche (come direbbe Melanie Joy)… Chi siano costoro, a scanso d’equivoci, Serra ce lo dice chiaramente quasi alla fine dell’articolo (sia pur tra parentesi, per attutire lo spessore ideologico dell’inciso): sono gli amici di slow-food, quelli dei prosciutti doc e degli allevamenti biologici, i sostenitori dell’uccisione etica e della reificazione degli esseri senzienti in merce “carne”, in quanto da fanatici moderati dello specismo negano senza ombra di dubbio che gli animali siano soggetti portatori di individualità e di diritti. Ovviamente per Serra Michele fanatico moderato dello specismo non esiste alcun dubbio che di Caterine malate come la studentessa veterinaria bolognese ce ne stanno decine e decine in giro per l’Italia, magari ricercatrici pronte a testimoniare l’esistenza di metodi di ricerca alternativi, alle quali nessun media ha dato voce fino a farlo diventare un caso nazionale. E qui davvero non si sa se ridere o se piangere: il termine “veterinaria” diviene una testimonianza di verità (non un dettaglio!), sufficiente a dimostrare che Caterina santa e martire ha ragione ad affermare che la sperimentazione sugli animali è indispensabile a salvare gli umani malati di immunodeficienza… in parole povere, mors tua vita mea!
L’unica domanda che Serra Michele riesce a porre (a se stesso) in questo contesto di miseria intellettuale è una affermazione di principio travestita ipocritamente da domanda retorica: ma perché tra i fanatici incapaci di affrontare qualunque discussione, i sedicenti animalisti occupino un posto così rilevante? Ovvero, tra tutti i fanatici del mondo, gli animalisti (sedicenti o non sedicenti) sono i più fanatici pericolosi, anche perché nella loro brutalità non sono in grado di comprendere la complessità della natura, che non è schematica né ideologica. E a questo punto si può tranquillamente sfoderare il manganello ideologico finale contro i portavoce più fanatici (ancora!) e sprovveduti del sedicente (ancora!) animalismo: quando Serra Michele li sente parlare non può fare a meno di pensare che costoro stiano creando nient’altro che un orribile tabù retrogrado e irrazionale, evidentemente da combattere e ostacolare in tutti i modi possibili, anche scrivendo articoli in cui domande retoriche e dichiarazioni di principio senza costrutto facciano entrare nella zucca del lettore già ben manipolata dai media che gli attributi da associare al termine animalismo sono, secondo il senso comune, fanatico, schematico, estremista. Un plauso al Serra Michele per il servizio reso ai sostenitori della vivisezione e delle multinazionali del farmaco e della carne, ovvero quegli “allevamenti intensivi” che lui sostiene di voler boicottare… ma senza esagerare!